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Ristorante Dal Pescatore – Loc. Runate – Canneto sull’Oglio (MN)

DAL PESCATORE LA TRADIZIONE AI MASSIMI LIVELLI
La famiglia Santini interprete di un successo che non ha tempo né confini. Suppergiù da un quarto di secolo, da quando cioè qualcuno si perita di stilare le superclassifiche dei migliori ristoranti d’Italia e del mondo secondo i giudizi delle guide, loro ci sono sempre, e stanno quasi sempre (almeno per quanto riguarda il Belpaese) in pole position. Passano gli anni, cambiano le mode culinarie, imperversano i giovani rampanti, ma il Pescatore di Canneto sull’Oglio in provincia di Mantova è costantemente chiamato a rappresentare i migliori rappresentanti della ristorazione italiana, i Santini del Pescatore.

Nessuno come loro riesce a mettere d’accordo tutti, i “gommati” della grande cuisine francese con gli integralisti della tradizione regionale italiana, i goliardi golosi della tipicità con i propugnatori della creatività. C’è un motivo? Si potrebbero trovare spiegazioni d’ogni tipo, ma per dirla semplicemente, come siamo sicuri farebbe Nadia Santini se non glielo impedisse la modestia, è perché sono bravi, straordinariamente (stavamo per scrivere mostruosamente, e ci potrebbe stare) bravi. In cucina la sua dolce determinazione si esprime attraverso piatti di una precisione memorabile. Quel che colpisce di più non sono i nomi altisonanti delle materie prime o lo studio dell’estetica, ma la fusione armonica e dinamica di cotture e sapori (questo però lo diciamo noi che cerchiamo di dare complessità a concetti che in fondo sul piatto si esprimono in modo molto più semplice).

La sublimazione della cucina genuina e sana, riconoscibile, comprensibile, facile da fare propria anche se tutt’altro che banale, lungamente meditata nell’elaborazione. E poi – o prima? – c’è la bravura, più manifestata ma non meno poderosa, di Antonio, in sala. Instancabile affabulatore oltre che attento indagatore (studi di Scienze Politiche in gioventù), riesce a trasferire, esaltandole con uno stile sobrio e schietto, le emozioni che nascono in cucina. Del medesimo tono, di raffinata ospitalità senza eccessi, ambientazione ed atmosfera. Uno straordinario ed integrale piacere, questo è il Pescatore (perciò da anni viene eletto come miglior ristorante d’Italia). E pensare che la minuscola frazione di Canneto sull’Oglio dove gente di tutto il mondo arriva per gustare la cucina dei Santini, non figura nemmeno sullo stradario più dettagliato ed a malapena (perché non si può omettere un tre stelle Michelin) è inserita sui navigatori di ultima generazione. Runate è diventata famosa grazie a loro, alla presenza ed al lavoro ormai secolare dei Santini che con Giovanni ed Alberto, i figli di Nadia ed Antonio rispettivamente in cucina ed in sala con mamma e papà, sono giunti alla quarta generazione di osti. Nulla è casuale dunque, ma frutto di una lenta, continua, determinata, crescita.

Anche quel nome, Pescatore, che per chi non conosce il passato potrebbe suonare fuori luogo, ha invece una storia ben radicata: l’Oglio e le sorgive dei dintorni (una proprio dietro il locale) sono stati per secoli una riserva di approvvigionamento di una delle materie prime che ancora oggi ricorrono nella cucina del Pescatore, il pesce d’acqua dolce. “Vino e Pesce”, si chiamava infatti quella trattoria semplice e modesta con il quale la famiglia Santini ha esordito nel mondo della ristorazione.

Nel corso degli anni sono cambiate naturalmente molte cose, ma non i valori fondamentali di una cucina che come dice nonna Bruna (che ancora in cucina comanda con il nipote Giovanni la partita dei primi piatti) “è buona e sana da sempre, visto che ha cresciuto, forti e tutti in buona salute, me ed i miei otto tra fratelli e sorelle”. “Ma non abbiamo pensato che tutto quello che deriva dalla tradizione sia esente da difetti, altrimenti non saremmo arrivati dove siamo. Prendendo come punto fermo la tradizione, bisogna essere capaci di spaziare, di allargare gli orizzonti, di prendere quel che di giusto arriva da altre esperienze. Credo che la dimostrazione più evidente stia nei risultati che abbiamo ottenuto” aggiunge Antonio Santini. “Però più che di difetti io parlerei di imperfezioni, dettate da una insufficiente conoscenza di alcuni principi”, specifica Nadia, che considera molto utile aver studiato in gioventù la chimica dell’alimentazione. “Dei piatti non mi basta l’estetica e nemmeno la buona riuscita della combinazione dei sapori. Valuto anche l’aspetto salutistico. Perciò bisogna conoscere profondamente la materia prima e le trasformazioni che intervengono durante l’elaborazione. Trasformazioni che inevitabilmente modificano il gusto, il valore nutritivo, la digeribilità. Per questo motivo nella mia cucina non c’è l’abbattitore: anche le salse le facciamo tutte al momento. Certo è un impegno per la cucina, ma possiamo gestirlo con trenta coperti che facciamo. Sono questi i valori aggiunti della cucina di valore. Vanno scelte con cura anche le attrezzature: usiamo molto il rame e l’alluminio antiaderente è perfetto per la rosolatura nel grasso che è più congeniale alla cucina a nord dell’Appennino, il burro (sempre chiarificato nella maniera più semplice, scaldando e separando caseina ed acqua per filtrazione e raffreddamento). Non basta però: la cucina che dà emozioni non si riduce alla ricerca dell’estetica e nemmeno alla padronanza tecnica. Oltre che il cervello bisogna metterci anche l’anima. Alla fine la clientela torna se capisce che c’è passione in quel che si fa, anche nelle cose più semplici”. Questa apparente semplicità cela valori profondi e radicati. “Quel che si fa è la dimostrazione di ciò che si pensa. Questo concetto lo si percepisce ogni volta che ci si confronta con i bravi colleghi in giro per il mondo. Quello della cucina è un linguaggio universale che porta con sé valori intimi e profondi, in fondo anche spirituali. Noi siamo cresciuti e viviamo in una zona in cui tutti si conoscono, dove non c’è fretta, dove ancora la gente è ben disposta al sorriso. I presupposti da cui nasce la nostra cucina sono questi: pur cogliendo ogni sollecitazione positiva che arriva dalle esperienze altrui, non vediamo il motivo di stravolgerla”. Non vediamo perché dovremmo anche solo pensare di stravolgere una cucina che nasce da questi presupposti esistenziali”. Già, perché?

Elio Ghisalberti

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